Dopo anni di regate ero sicuro di conoscere tutti i motivi per cui tu, armatore, dovresti solo essere felice di portare in barca con te i cosiddetti professionisti: Ero certo che tu dovessi ringraziare quelli che ci vengono, perché ci vengono nonostante sia tu a chiamarli. Capivo che non è tutta colpa tua. Tu ti saresti ancora accontentato di regatare al circolo con gli amici di sempre. Però poi hai deciso di prenderti un gioco di vele tagliato un po’ meglio, di dotare la tua barca di un “motore” più potente ed eccolo là, sei entrato nel vortice. Il velaio, ti ha fatto vedere il paese dei Balocchi in cui finalmente si può andare grazie alle sue vele. Là, in quel mare meraviglioso, ti ha fatto vedere il Lucignolo di turno da una parte ci sono i somari che ragliano intorno alle boa e dall’altra quelli che vincono le regate cui si partecipa, ma a una condizione: «a bordo serve un professionista». E tu l’hai preso in parola, anche perché è difficile essere in disaccordo. Così hai cominciato a metterti uno, o più, professionisti in barca, e lo sai meglio di me: almeno una volta per regata tutti quelli chiamati a fare parte del tuo equipaggio hanno pensato: «Ma come si fa ad andare in barca in questa maniera?!». Ovviamente la maniera cui facevano riferimento era la tua. Per carità, è comprensibile: non si può pretendere troppo da te. Hai iniziato ad andare a vela da grande e solo sui cabinati. Davvero pensi di poter regatare come chi ha tenuto lo stick in una mano e la scotta nell’altra per 30 degli ultimi 35 anni? Per cui, caro armatore, finché è l’invernale di Vattelappesca gioca pure, ma quando pensi di partecipare a regate serie faresti anche bene a farti passare questa mania di timonare.
Poi, per convincersi di quanto sopra basta guardare i numeri. Su cento rappresentanti della tua categoria, 60 non hanno bene idea di quello che stanno facendo con quella ruota in mano e come devono comportarsi con tutte quelle vele, i filetti da tenere d’occhio, la velocità da controllare, i «sali!», gli «scendi!», gli «ho pressione», i «non poggiare in bonaccia!», e la classica accoppiata gridata dal prodiere seduto in falchetta: «raffica!… onda!»; 20 se la cavano (qualcuno è anche bravo, diciamolo). I rimanenti 20 non hanno ancora capito che controvento una barca a vela non va: trai tu le conclusioni su come possano approcciare il resto della regata. Per cui, armatore, fa’ come i buoni armatori di una volta: compra la barca, ma lasciaci andare chi sa andare e tu guarda le regate da un’altra barca. Se poi vuoi per forza venire a bordo, cerca almeno di non dare fastidio: stai seduto dove ti viene detto e non toccare nulla.
Confesso, l’ho pensato anche io a bordo di molte delle barche su cui sono stato. Nota di servizio: caro armatore che mi hai avuto con te poniti delle domande e rispondi in coscienza in quale percentuale sei. L’ho pensato, è vero, ma devo dire di aver sbagliato tutto! Non sul giudizio velico, quello, rimane, ma non è questo il punto. Perché conta poco nel bilancio generale. Dopo solo una regata vissuta vestendo i panni armatoriali ho capito di essere stato ingiusto e superficiale, organizzando e gestendo una barca per una 151 Miglia. Con tutti gli sbattimenti del caso, fatto salva la disponibilità della barca, gentilmente affidata dai legittimi armatori. Ecco, confesso di aver sbagliato tutto nel non considerare l’impegno che ci metti tu, armatore, per arrivare a fare una regata.
Andiamo per ordine: compri la barca, spesso la fai ottimizzare da un progettista se non è direttamente un prototipo, la armi da regata, la fai stazzare, le trovi un posto barca, la riempi di materiale di consumo, la assicuri e ti paghi alaggi e vari. E tutto questo solo per averla ferma a un gavitello. Poi pensi alle vele, con le misure da comunicare o da fare verificare, le telefonate in veleria, i conti da incrociare sui diversi preventivi, le prove in mare ecc. Poi è il turno di organizzare il calendario agonistico: la scelta delle regate, la convocazione dell’equipaggio, il suo vitto e il suo alloggio e i suoi trasferimenti, poi i trasferimenti della barca, prima e dopo ogni regata, la cambusa, l’abbigliamento, eventuali riparazioni e materiale di rispetto…
E poi il rimessaggio, l’invernaggio, l’eventuale vendita per comprare un nuovo prototipo o monotipo o un go kart (se finalmente hai capito che la vela non è il tuo sport). E tutto questo a spese tue. Di tempo e di denaro. Tutto sulle tue spalle. È vero, gli armatori più facoltosi hanno qualcuno che si occupa di tutto questo, ma il risparmio di tempo dedicato alla barca che non naviga lo paghi ugualmente stipendiando chi si occupa di tutte queste cose. E allora, e ora mi rivolgo ai velisti, vi sembra ancora così strano, inconcepibile o vergognoso che quando si mollano le cime da terra sia l’armatore a voler stare al timone? Passione e filantropia non devono per forza essere coincidenti. Quindi, caro armatore, io che da non armatore ho capito ti dico: grazie per il tuo amore per la vela (sì, però poggia un filo, dai…)