Anch’io l’ho fatto, come immagino l’abbiano fatto molti altri. Con l’arrivo della mia prima barca ho acquistato immediatamente un libro dei “Nodi“, uno dei tantissimi manuali pubblicati su tale argomento. Era ovvio che intendevo evolvermi e passare dal volgare e popolarissimo “Groppo” al più raffinato “Nodo marinaro”, scoprendo poi, come solo in parte sapevo, che questa arte non è il dominio assoluto dei marinai e che certe pratiche di annodare una corda vengono utilizzate, per esempio, dagli alpinisti e, rinverdendo i miei ricordi, avevo trovato in quel libro alcuni insegnamenti, ricevuti e poi dimenticati, di quando praticavo lo scoutismo.Se ancora non l’avete fatto e se disponete della pazienza di cimentarvi, acquistate un manuale illustrato e dedicatevi ad apprendere l’arte dei nodi. Se invece siete già armatori di una barca, mi confermerete che, fra tutte quelle pagine, ben pochi nodi sono frequentemente utilizzati per navigare. E mi rivolgo soprattutto ai velisti poiché ai “motoscafari” ( ndr traspare evidente quale sia la mia passione) basta conoscere molto e molto di meno per saper annodare una cima e i risultati si vedono.
Quattro nodi per girare il mondo
In estrema sintesi i nodi indispensabili per poter girare il mondo sono solamente quattro: la gassa, il parlato, il savoia e il piano. Che potremmo tradurre con l’uso a cui ciascun nodo è dedicato, poiché servono rispettivamente: a creare un “occhio“ che non scorra, ad avvolgere un oggetto, ad arrestare una cima che non esca da un buco, a congiungere due capi che saranno poi sciolti senza difficoltà. Tutto qui Assolutamente no. Farei un grave torto agli autori di queste pubblicazioni se negassi i tantissimi altri modi d’impiegare un cavo, una cima, una drizza, una scotta, un matafione, una barbetta o uno stroppo. I diversissimi nomi dati alla volgare “corda” ( ndr. a bordo si chiama “corda” solo quella che viene appesa al batacchio per suonare la campana) sono funzionali all’impiego di ciascuna “manovra tessile”.
Impieghi occasionali o ricercato
Dopo mezzo secolo o poco più di frequentazioni nautiche il mio orizzonte non è andato molto oltre i quattro nodi fondamentali salvo in alcune occasioni in cui ho riesumato per necessità alcuni nodi specialistici. Ho utilizzato, per esempio, il “nodo margherita”, indispensabile per accorciare una cima, che deve restare, però e sempre, in forte tensione. Ho imparato a “cogliere” un cavo facendo un otto tenendo la cima in mano oppure avvolgerla a rotolo in terra con le spire sovrapposte per poi utilizzare la matassa senza che si attorcigli. Ma soprattutto ho imparato a fissare la cima a una caviglia o a una bitta senza incroci che possano rendere difficile lo scioglimento.
Ultima chicca, riservato ai fortunati possessori di yacht d’epoca, è “l’abbisciamento” delle cime d’ormeggio sulla coperta quando si scende a terra. Potrei forse continuare ancora un po’, ma per chi desiderasse destreggiarsi in questa pratica marinaresca non posso competere con i numerosi manuali in commercio spesso titolati “l’Arte dei nodi”. Buon vento.